La rivista della DSC per
lo sviluppo e la cooperazione
DEZA
Testo: di Samanta SiegfriedEdizione: 02/2022

Per ridurre la povertà nel mondo è fondamentale che le persone abbiano lavori dignitosi. Per questo motivo, la politica di sviluppo internazionale punta sulle collaborazioni con il settore privato. Le sfide sono molteplici e non solo da quando è scoppiata la pandemia.

Venditrice di strada a Phnom Penh, in Cambogia: oltre due miliardi di persone lavorano nel settore informale.  © Luke Duggleby/Redux/laif
Venditrice di strada a Phnom Penh, in Cambogia: oltre due miliardi di persone lavorano nel settore informale. © Luke Duggleby/Redux/laif

Nel corso dell’ultimo decennio, la vita lavorativa di Collet Wemba è cambiata in meglio. Dal 2012 lavora nei sobborghi della capitale sudafricana Johannesburg per una catena di fast food che produce anche patatine. «All’inizio eravamo assunti a tempo determinato con contratti che venivano prorogati di volta in volta», spiega la trentatreenne. «Gli straordinari non venivano pagati e la gente lasciata a casa quando non c’era abbastanza lavoro». Anche l’acquisto degli abiti da lavoro spettava al personale dipendente. Nel primo anno, Wemba guadagnava l’equivalente di 80 centesimi l’ora.

Nel 2015 Collet Wemba si è rivolta al CWAO (Casual Workers Advice Office), un’organizzazione di Johannesburg che fornisce consulenza legale alle lavoratrici e ai lavoratori temporanei e precari. «Ci hanno aiutati a presentare le nostre richieste alla direzione aziendale», ricorda. E le acque si sono improvvisamente smosse. «Le condizioni di lavoro sono migliorate e la paga è leggermente aumentata». Nel 2018, con l’aiuto del CWAO e mediante un procedimento di conciliazione, lei ed alcuni collaboratori e collaboratrici sono finalmente riusciti ad ottenere l’assunzione a tempo indeterminato dopo sei anni di lavoro temporaneo.

Consapevolezza dei propri diritti

«Da allora la mia vita è cambiata», afferma Collet Wemba. E non solo grazie alle migliori condizioni di lavoro. «Quando si tratta di difendere i miei diritti o i diritti delle colleghe e dei colleghi, non mi tiro più indietro!». La donna ha esercitato il suo diritto alla libertà di associazione, uno dei principi fondamentali sanciti dall’Organizzazione internazionale del lavoro OIL. «È empiricamente provato che dove i sindacati sono forti, i salari e gli standard di vita sono migliori», spiega Joachim Merz, responsabile del programma per l’Africa meridionale e la Bolivia presso Solidar Suisse, organizzazione svizzera per lo sviluppo che si batte per un lavoro equo in tutto il mondo e sostiene il CWAO in Sudafrica.

«Un lavoro migliore non significa solo salari migliori, ma anche sicurezza sociale e consapevolezza dei propri diritti», prosegue Merz riferendosi all’Agenda del lavoro dignitoso («Decent Work Agenda») adottata dall’OIL nel 1999. Secondo questo principio, il lavoro dignitoso si fonda su quattro condizioni fondamentali: il rispetto dei diritti sul lavoro, un’occupazione che generi un reddito sufficiente, la sicurezza sociale, il dialogo sociale sull’organizzazione delle condizioni di lavoro.

Oggi, l’Agenda del lavoro dignitoso è una componente centrale della politica di sviluppo internazionale e viene promossa nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Anche la strategia di cooperazione internazionale 2021-2024 della Confederazione ha posto l’accento sulla creazione di impieghi degni di questo nome.

Organizzazione internazionale del lavoro

L’OIL è stata fondata nel 1919 con lo scopo di migliorare le condizioni di lavoro e di vita di tutte le persone. Dal 1998, le otto convenzioni fondamentali del lavoro di OIL sono un quadro di riferimento internazionale per gli standard minimi nel mondo del lavoro. Esse si basano sui seguenti quattro principi fondamentali: libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto di procedere a trattative collettive, eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio, abolizione di fatto del lavoro minorile, eliminazione della discriminazione a livello di impiego e di professione.

207 milioni di disoccupati nel mondo

La situazione è preoccupante. Molti Paesi presentano una forte disoccupazione, tassi elevati di occupazione informale, povertà e una protezione sociale insufficiente. La pandemia di coronavirus ha peggiorato le cose. L’OIL prevede che a livello globale le persone senza lavoro alla fine del 2022 saranno 207 milioni di persone. Ciò equivale a un aumento superiore all’11 per cento rispetto ai 186 milioni del 2019. L’organizzazione ritiene particolarmente cupe le prospettive occupazionali delle donne e dei giovani; i gruppi di popolazione più vulnerabili.

La digitalizzazione sta cambiando il mondo del lavoro. Studentesse di un corso di elaborazione immagini, a Hargheisa, nel Somaliland.  © Mustafa Saeed/NYT/Redux/laif
La digitalizzazione sta cambiando il mondo del lavoro. Studentesse di un corso di elaborazione immagini, a Hargheisa, nel Somaliland. © Mustafa Saeed/NYT/Redux/laif

Come si fa a creare occupazione in un mondo del lavoro segnato da grandi sconvolgimenti e incertezze? «Un elemento chiave è il rafforzamento del settore privato locale», spiega Guido Beltrani, condirettore del gruppo Sviluppo economico inclusivo della DSC. Infatti, il 90 per cento dei posti di lavoro nel mondo è creato da aziende private. «In molti casi, le aziende non ottengono i finanziamenti per crescere e così non riescono a creare impieghi».

Ed è proprio qui che la DSC intende intervenire sostenendo, ad esempio, un’iniziativa che permette a piccole e medie imprese agricole in alcune regioni dell’Africa orientale di accedere al credito. Altri progetti favoriscono l’accesso al mercato per le popolazioni rurali promuovendo l’impiego di nuove tecnologie della comunicazione. In questo modo, le famiglie di piccoli contadini sono meglio informate sui prezzi di vendita e riescono a ottenere un reddito migliore dai loro prodotti

Collaborazione più stretta con il settore privato

Oltre a promuovere le imprese locali, la DSC rafforza la collaborazione con le imprese svizzere e le aziende di molti altri Paesi. «L’intento è di mobilitare risorse, innovazione e finanziamenti da parte del settore privato. È una delle chiavi per attuare l’Agenda 2030», spiega Beltrani. Negli ultimi anni, la DSC ha costantemente stretto nuovi partenariati. Nel 2021 è stato possibile realizzare 140 progetti in collaborazione con il settore privato. Fra i partner ci sono multinazionali come la Roche, ma anche piccole e medie imprese o fornitori di servizi finanziari.

Non è però possibile instaurare una collaborazione con ogni azienda. Le ONG criticano continuamente la mancanza di trasparenza in materia di diritti umani e salvaguardia ambientale. «Alla base di ogni partenariato c’è un’analisi approfondita dei potenziali rischi, specialmente nei tre ambiti affari sociali, gestione aziendale e ambiente», spiega Beltrani. «Con le grandi aziende, questi rischi emergono solitamente lungo la catena di creazione di valore».

Un’apposita banca dati consente di verificare se in passato l’azienda ha avuto problemi in questi ambiti particolari. Ciò permette di individuare i possibili rischi di un’eventuale collaborazione. In seguito, si valuta se l’azienda riconosce e previene i rischi.

Condizioni migliori nel settore informale

Anche Joachim Merz di Solidar Suisse riconosce la necessità di collaborare con il settore privato. C’è però una condizione che va assolutamente rispettata. «Garantire il dialogo sociale e le trattative collettive. Un’azienda deve essere disposta a negoziare con i dipendenti o i sindacati per migliorare le condizioni d’impiego, soprattutto versando salari equi e garantendo un’adeguata sicurezza sociale», dice Merz.

Nella megalopoli nigeriana Lagos, due uomini pesano il loro bottino di bottiglie di plastica in un centro di riciclaggio.  © Tadej Znidarcic/Redux/laif
Nella megalopoli nigeriana Lagos, due uomini pesano il loro bottino di bottiglie di plastica in un centro di riciclaggio. © Tadej Znidarcic/Redux/laif

Solidar Suisse si batte anche per regolamentare le condizioni di lavoro nell’economia informale, settore che impiega oltre il 60 per cento della popolazione attiva nel mondo, per lo più senza contratto di lavoro scritto e senza alcuna sicurezza sociale. «Per alcuni progetti, cerchiamo insieme all’amministrazione locale un modo per migliorare le condizioni quadro delle lavoratrici e dei lavoratori informali», spiega Joachim Merz.

L’ONG chiede, ad esempio, che i venditori e le venditrici ambulanti possano commerciare legalmente i loro prodotti, che dispongano di una migliore connessione a internet od ottengano incentivi finanziari per le start up sotto forma di agevolazioni fiscali. «L’occupazione informale ci sarà sempre», conclude l’esperto. «Bisogna quindi trovare un modo per rendere questo tipo di lavoro il più umano possibile».

Traslochiamo. Da aprile 2024 troverete tutte le storie sull'Aiuto umanitario e la Cooperazione internazionale della Svizzera su dsc.admin.ch/storie.

Saremo lieti della vostra visita.
Ulteriori Informazioni
Venite con noi.