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DEZA
Testo: di Christian ZeierEdizione: 03/2021

Per essere efficace, la cooperazione internazionale deve raggiungere tutte le persone, indipendentemente dalla lingua che parlano. A volte i progetti conseguano però risultati mediocri proprio per colpa delle barriere linguistiche e delle traduzioni scadenti. È un problema noto da tempo, ma non ancora risolto.

Indonesia, settembre 2020: l'operatore umanitario dell'ONU ha bisogno di un'interprete per parlare con una rifugiata rohingya. © UNHCR/Jiro Ose
Indonesia, settembre 2020: l'operatore umanitario dell'ONU ha bisogno di un'interprete per parlare con una rifugiata rohingya. © UNHCR/Jiro Ose

Il figlio di Hossain Ahmed non riesce più a muovere le gambe. Insieme al padre è fuggito dal Myanmar e oggi vive in un campo profughi nel Sud-est del Bangladesh. Ogni tanto i due si recano nella clinica del campo, pur sapendo che la visita sarà pressoché inutile. «Di solito, non capisco cosa mi dicono gli infermieri del centro sanitario», racconta Hossain Ahmed nel portale online «The New Humanitarian». «E credo che nemmeno loro capiscano me».

Le difficoltà nella comunicazione sono dovute al fatto che i due rifugiati parlano rohingya, molti degli interpreti nel campo profughi invece parlano chittagoniano, la lingua diffusa appena oltreconfine. Spesso si crede erroneamente che le due lingue siano identiche, ma un'analisi dell'organizzazione Translators without Borders (TwB) giunge a una conclusione diversa. Più di un terzo dei rohingya intervistati non capisce un semplice messaggio in chittagoniano. «Tutti pensavano che le due lingue fossero abbastanza vicine l'una all'altra», dice Mia Marzotto di TwB. «Ma non è così».

«Problema nascosto, ma di perenne attualità»

Per motivi storici, nell'aiuto umanitario e nella cooperazione allo sviluppo vengono usate poche lingue. Prima di tutto l'inglese e il francese, le vecchie lingue del colonialismo. I progetti sono attuati facendo capo anche a molte altre lingue, a volte con scarso successo. È stato così anche con la crisi umanitaria causata dal terremoto che ha colpito Haiti nel 2010. Organizzazioni e volontari sono accorsi sul posto, ma spesso mancava una lingua comune.

Riunioni importanti si sono tenute in lingue che escludevano molti partecipanti, ritardando la comunicazione di importanti decisioni, si legge in un rapporto delle Nazioni Unite e della Harvard Humanitarian Initiative. Il problema è noto da tempo. Nelle valutazioni, i responsabili sono ripetutamente invitati a «fornire informazioni efficaci al governo e alla popolazione nella loro lingua», dice una collaboratrice dell'agenzia dell'ONU per il coordinamento delle questioni umanitarie OCHA. Eppure non lo fanno. Secondo quest'ultima, le traduzioni scadenti sono un «problema nascosto, ma di perenne attualità».

Dal terremoto di Kathmandu ai campi profughi nel Nord della Nigeria fino alla pandemia di COVID-19, la ONG Translators without Borders costata ovunque clamorose carenze nella traduzione. E questo nonostante una comunicazione efficiente sia particolarmente importante nelle situazioni di crisi. Come si può spiegare questo fenomeno? E quali sono le possibili soluzioni?

Presupposti errati

I fattori responsabili del fallimento di una comunicazione efficace sono il tempo disponibile e l'impegno che vi si può dedicare. Spesso bisogna fare in fretta e nei territori interessati, non di rado, la popolazione parla varie lingue. Basta guardare alla campagna di informazione sul COVID-19 destinata alla popolazione indiana per capire la complessità del problema. Il Paese ha 22 lingue ufficiali e oltre 120 idiomi o dialetti, ognuno dei quali costituisce la lingua madre di oltre 10'000 persone.

Spesso, i collaboratori umanitari delle Nazioni Unite non sanno quale lingua usare per comunicare con i rifugiati in un campo profughi in Indonesia. © UNHCR/Jiro Ose
Spesso, i collaboratori umanitari delle Nazioni Unite non sanno quale lingua usare per comunicare con i rifugiati in un campo profughi in Indonesia. © UNHCR/Jiro Ose

All'inizio della pandemia molte informazioni venivano comunicate soprattutto in hindi e in inglese, lingue che per molti sono solo lingue d'appoggio, mentre altri non le capiscono affatto. Questo ha fatto sì che determinati gruppi non abbiano preso sul serio gli appelli. «Sembrava una pericolo remoto», dice Biplab Ghosh, collaboratore del movimento della società civile Bharat Gyan Vigyan Samiti. Affinché le persone si identifichino con un'informazione, dice, questa deve essere diffusa nella loro lingua madre.

Ma queste traduzioni richiedono tempo e risorse. E se le risorse di un'organizzazione sono limitate, queste verranno probabilmente impiegate per altri scopi. Ciononostante, Mia Marzotto di Translators without Borders è convinta che sia possibile superare le barriere legate a un uso errato della lingua. In un rapporto recentemente pubblicato ha raccolto le esperienze maturate dalla sua organizzazione nei contesti più svariati. Fra l'altro costata che gli operatori internazionali partono erroneamente dal presupposto che i collaboratori locali siano in grado di comunicare con tutti i connazionali. Mancano inoltre informazioni sulla lingua che le persone parlano effettivamente.

Tre approcci

Per superare le barriere linguistiche, l'esperta in traduzione ha indentificato tre approcci fondamentali. In primo luogo, occorre rilevare le lingue madri durante l'analisi dei bisogni e nella fase preliminare del progetto. In secondo luogo, la traduzione ed elaborazione di un glossario specifico vanno incluse nella pianificazione del bilancio. E in terzo luogo, il materiale informativo deve essere redatto nel modo più chiaro e semplice possibile, affinché sia accessibile ad un vasto pubblico.

Un altro aiuto spesso sottovalutato sono le traduzioni automatiche, la cui qualità migliora continuamente. Un esempio attuale: varie università e aziende tecnologiche prestigiose si sono unite nella «Translation Initiative for COVID-19». Al fine di fornire le informazioni necessarie al maggior numero possibile di persone, mettono a disposizione banche dati di traduzione a lettura automatica in quasi 90 lingue.

Traduzione senza frontiere

La ONG specializzata in traduzioni nel contesto umanitario Translators without Borders (TwB) ha acquisito notorietà per la prima volta durante la catastrofe che ha colpito Haiti dopo il sisma nel 2010. In quell'occasione è emerso in modo particolarmente evidente il fatto che le barriere linguistiche stavano ostacolando la reazione della comunità internazionale, scrive Andrew Bredenkamp, uno dei fondatori di TwB. Per questo motivo la sua organizzazione cerca di trasmettere alle popolazioni colpite informazioni di importanza vitale nella loro lingua e collega le ONG con una rete di traduttrici e traduttori volontari professionisti.

Traslochiamo. Da aprile 2024 troverete tutte le storie sull'Aiuto umanitario e la Cooperazione internazionale della Svizzera su dsc.admin.ch/storie.

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