La rivista della DSC per
lo sviluppo e la cooperazione
DEZA
Testo: Zélie SchallerEdizione: 02/2018

IN QUESTO DOSSIER

  • Articolo: LA MONTAGNA IN EQUILIBRIO PRECARIO

  • Una Infobox: DALLE ANDE ALLA CINA PASSANDO PER IL FORUM MONDIALE

  • Intervista: «I PAESI DI MONTAGNA DEVONO PARLARE CON UNA VOCE SOLA»

  • Articolo: I GHIACCIAI, BELLEZZA E PERICOLO

  • Articolo: FORESTE, ALLEATE PREZIOSE E FRAGILI

  • Articolo: LA MONTAGNA E LA FAME

  • FATTI & CIFRE

LA MONTAGNA IN EQUILIBRO PRECARIO

Le montagne hanno un’importanza cruciale per l’agricoltura, la sicurezza alimentare e la biodiversità. Oggi, questi ecosistemi sono più che mai sotto pressione a causa del cambiamento climatico. Solo uno sviluppo sostenibile può garantire il futuro delle popolazioni montane.

Un contadino mentre zappa il suo campo nella valle Sagrado, a oltre 3000 metri sul livello del mare nell'Altopiano peruviano. © Thomas Linkel/laif
Un contadino mentre zappa il suo campo nella valle Sagrado, a oltre 3000 metri sul livello del mare nell'Altopiano peruviano. © Thomas Linkel/laif

Autentica forza della natura, la montagna incanta. Le cime innevate e le distese di ghiaccio dell’Himalaya tolgono il fiato. Gli spettacolari paesaggi delle Ande e delle Alpi ti lasciano a bocca aperta. Anche se meno conosciuti, il Monte Elbrus in Iran o il massiccio del Futa Jalon in Africa occidentale sono ugualmente meravigliosi. Le aree montane occupano circa un quarto della superficie terrestre e ospitano il dodici per cento della popolazione mondiale, di cui oltre il 90 per cento in Paesi in via di sviluppo. Inoltre riforniscono di acqua potabile metà dell’umanità, che può così dissetarsi, cucinare e lavarsi. L’oro blu dei ghiacciai infine consente

di irrigare i terreni e di produrre energia idroelettrica.

Le montagne e le tradizioni si sgretolano

Gli ecosistemi montani sono dei veri e propri tesori della biodiversità: ospitano circa un terzo delle specie vegetali presenti sul pianeta. Ma in questi territori, le condizioni di vita sono alquanto difficili. Le popolazioni montane sono fra le più povere al mondo. Geograficamente discoste, non sempre hanno accesso ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Sono spesso politicamente, socialmente ed economicamente emarginate. Inoltre, la loro esistenza è minacciata da valanghe, smottamenti di terreno e inondazioni causate dal cedimento improvviso degli argini dei laghi glaciali. E a causa dei cambiamenti climatici vivere in quota sarà sempre più difficile e pericoloso. Infatti, le piogge torrenziali, l’innalzamento delle temperature e il conseguente scioglimento dei ghiacciai non faranno che esacerbare questi rischi.

Il ritiro dei ghiacciai mette a repentaglio la sicurezza alimentare. A medio termine aggraverà la penuria d’acqua, scombussolando la vita di milioni di persone in altitudine, ma anche a valle. Negli ultimi quattro decenni, i ghiacciai delle Ande tropicali hanno perso il 40 per cento della loro superficie. Se in un primo tempo il loro scioglimento genera un’abbondanza d’acqua, successivamente la portata dei laghi diminuisce. «Questi cambiamenti stanno già avendo ripercussioni sulle attività della popolazione, tra cui la produzione di energia idroelettrica a valle, le pratiche di sfruttamento del suolo, il turismo, lo sviluppo urbano, le relazioni sociali, la spiritualità, le pratiche e i valori culturali», osserva Christian Huggel, professore presso il dipartimento di geografia dell’Università di Zurigo.

Nella valle del Chucchún, in Perù, si raccoglieva il ghiaccio per produrre un sorbetto chiamato raspadilla . Non era soltanto un’importante fonte di reddito, ma anche una tradizione comunitaria. Oggi il raspadilla è prodotto con il gelato industriale. La cremosità e il sapore sono diversi. Alcuni popoli rimettono addirittura in discussione le loro credenze visto che con doni e benedizioni non riescono più ad accattivarsi i favori degli dei che negano loro precipitazioni abbondanti per i raccolti.

Caffè in alta quota

Tra quarant’anni, le popolazioni montane andine potranno sfruttare soltanto il 60 per cento delle risorse idriche attualmente disponibili. L’agricoltura e l’allevamento nella regione di Puna, nel Sud-est del Perù, sono a rischio. Se non riusciranno ad adattarsi, gli abitanti non avranno altra scelta che abbandonare le terre dei loro antenati. I piccoli contadini devono imparare a gestire meglio le acque e a pianificare adeguatamente i periodi di semina per ottenere comunque dei buoni raccolti, nonostante le imprevedibili condizioni climatiche. Alcuni producono nuove varietà di frutta. Oggi, in alcune zone d’alta montagna è ormai possibile coltivare la grenadilla , una pianta della famiglia delle passiflore, o il caffè. Era un fatto inimmaginabile solo pochi anni fa a causa delle temperature troppo rigide. In India, le popolazioni dei promontori himalayani seminano invece varietà di riso che richiedono meno acqua.

In Nepal, i ponti sospesi permettono alle comunità montane di andare a scuola, dal medico o di raggiungere i mercati dove vendono i loro prodotti.  © Franck Guiziou Hemis/laif
In Nepal, i ponti sospesi permettono alle comunità montane di andare a scuola, dal medico o di raggiungere i mercati dove vendono i loro prodotti. © Franck Guiziou Hemis/laif

In Nepal, nel distretto di Kavre, per limitare le perdite di raccolto nei periodi di siccità viene impiegato un biofertilizzante a base di urina di bovino mescolata alla paglia. Il Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna, sostenuto dalla DSC, promuove soluzioni semplici affinché gli abitanti riescano a sopravvivere. «Grazie a questi metodi ingegnosi ho migliorato la produzione e ho aumentato le mie entrate. Da quando impiego queste tecniche, la gente del villaggio mi guarda con ammirazione», racconta la contadina Sita Neupane.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), per proteggere le risorse naturali e migliorare l’agrobiodiversità occorre, come regola generale, diversificare le colture e le tecniche. Senza questi accorgimenti le famiglie sono destinate a impoverirsi ulteriormente. Un numero crescente di uomini sarà costretto a migrare, abbandonando le mogli e i figli per lunghi periodi. Le donne svolgono già compiti molto pesanti. A causa dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali sono costrette a percorrere distanze sempre maggiori per raccogliere la legna da ardere o il foraggio per gli animali. Stando alla FAO, questa evoluzione avrà importanti conseguenze per le popolazioni di montagna: carenze alimentari, un crescente esodo e persino la tratta di ragazze e donne dalle montagne verso le città che si trovano in pianura.

Più fiducia nelle donne

In caso di catastrofe naturale, le popolazioni delle remote valli del Tagikistan e del Pakistan rimangono spesso abbandonate a sé stesse per diversi giorni prima che i soccorsi riescano a raggiungere i luoghi sinistrati. Con il sostegno della DSC, la Aga Khan Agency for Habitat ha insegnato a gruppi di volontari come aiutare la propria comunità prima, durante e dopo simili eventi. Le squadre comprendono sia donne che uomini. Tale collaborazione non è sempre ben vista poiché mette in discussione i ruoli tradizionali nella società. Stando a uno studio dell’Università di Berna, spesso sono però proprio le donne le prime a recarsi sul luogo di una catastrofe. Perciò si vuole dar loro più fiducia. «Eravamo in preda al panico, impaurite dalle violenti precipitazioni e dall’imminente inondazione. Una donna ci ha condotte in un luogo sicuro. Se fosse stato un uomo, saremo state più restie a seguirlo», racconta Bibi Sharifa, una residente del villaggio pakistano di Brep.

Sviluppo economico

Sono sfide che le montagne sono però in grado di affrontare. «La rapidità dei cambiamenti osservati, così come l’enorme diversità di specie ed ecosistemi le rendono un laboratorio privilegiato non solo per studiare gli effetti del riscaldamento climatico, ma anche per trovare possibili soluzioni», afferma Manfred Kaufmann, esperto di cambiamenti climatici presso la DSC. Le montagne sono un’ottima palestra nell’ambito dello sviluppo sostenibile. Finché sono protette, le catene montuose offrono molteplici opportunità di reddito. Se è vero che in talune regioni la riduzione dell’innevamento penalizzerà l’industria del turismo e causerà, in un primo tempo, gravi perdite economiche, con la partecipazione delle popolazioni montane l’ecoturismo e l’agriturismo possono diventare un’importante risorsa.

Anche la vendita di articoli di nicchia e di qualità può essere un’attività redditizia. I prodotti biologici e artigianali così come le erbe e le piante officinali sono viepiù apprezzati in tutto il mondo. La Mountain Partnership è un’alleanza di Stati, enti internazionali e organizzazioni non governative che si impegna a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni di montagna. Inoltre protegge l’ambiente e promuove la coltivazione di derrate alimentari che possono garantire un futuro alle comunità montane. Nell’Anti Atlante, catena montuosa in Marocco, il partenariato sostiene la produzione di zafferano per favorire lo sviluppo economico nella regione.

In Nepal, dopo il terremoto del 2015 è stata proposta una formazione per muratori specializzati in edilizia antisismica grazie anche al sostegno della DSC.  © DSC
In Nepal, dopo il terremoto del 2015 è stata proposta una formazione per muratori specializzati in edilizia antisismica grazie anche al sostegno della DSC. © DSC

Un’altra fonte di reddito sono le sovvenzioni ai contadini e alle regioni di montagna, ad esempio, per la salvaguardia della biodiversità, per il consumo d’acqua da parte delle popolazioni in pianura o per la produzione di energia idroelettrica. «Una compensazione per i beni e i servizi che forniscono alla società migliorerà le condizioni di vita delle popolazioni e ridurrà la povertà nelle aree montane», afferma l’Università di Berna in uno studio finanziato dalla DSC. Soprattutto il settore idrico può promuovere la cooperazione tra le montagne e le pianure, con enormi benefici per entrambe le parti.

Solo lo sviluppo sostenibile della montagna favorirà la transizione verso un’economia verde e permetterà di lottare efficacemente contro la deforestazione, la povertà, la scarsità d’acqua e gli effetti dei cambiamenti climatici. «Sappiamo che gli investimenti in questo settore produrranno benefici a lungo termine per oltre la metà della popolazione mondiale», conclude Manfred Kaufmann.

Alloggi più sicuri

In Nepal, la prevenzione delle catastrofi naturali è di cruciale importanza. Dopo il terremoto dell’aprile 2015, che ha causato 9000 vittime, viene proposta una formazione per muratori specializzati in edilizia antisismica grazie a un fondo cofinanziato anche dalla DSC. Tremila persone seguiranno i corsi della durata di 50 giorni. «Proponiamo le formazioni in primo luogo alle persone più svantaggiate e disoccupate», spiega il responsabile del modulo Ganga Bahadur Bishwakarma. L’obiettivo è di ricostruire 4000 alloggi con gli operai formati e i loro vicini, ai quali gli esperti trasmetteranno le conoscenze acquisite. Dilli Gubaju si è trasferito in una nuova abitazione nel distretto di Ramechap. «Grazie a tiranti orizzontali in legno, la nostra casa è più solida rispetto alla vecchia costruzione, il che dovrebbe consentirle di resistere a nuove scosse», spiega il giovane diplomato. «Ora sono felice di poter aiutare altre persone a costruire abitazioni più sicure».

© Disegno da Jean Augagneur
© Disegno da Jean Augagneur

LA DSC E LA MONTAGNA

DALLE ANDE ALLA CINA PASSANDO PER IL FORUM MONDIALE

La Svizzera sa molto bene a quali sfide sono confrontate le regioni montane. Nel corso degli anni ha acquisito un importante bagaglio di conoscenze e competenze che mette a disposizione delle comunità montane per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più vulnerabili, spesso trascurate. I progetti e il sostegno della DSC sono sempre più importanti visto il crescente numero di persone colpite dall’insicurezza alimentare.

In favore dei più deboli

La cooperazione allo sviluppo svizzera aiuta i più svantaggiati ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a difendersi dalle ricorrenti catastrofi naturali. L’obiettivo è di migliorare la resilienza e le condizioni di vita della gente di montagna. Nell’Europa orientale, la DSC collabora con le comunità locali nell’ambito della valorizzazione dei prodotti del territorio e dello sviluppo di un turismo sostenibile. In Nepal, da ormai oltre cinquant’anni la Svizzera focalizza il suo contributo nel miglioramento delle infrastrutture. Ha sostenuto, per esempio, la costruzione e il rifacimento di 500 chilometri di strade e di 5000 ponti sospesi.

In Tagikistan sta modernizzando i sistemi di irrigazione per aumentare la produttività delle attività agricole e ridurre il rischio di inondazioni. In Perù, grazie al sostegno della DSC alcuni scienziati svizzeri stanno studiando lo scioglimento dei ghiacciai per definire il bilancio idrico futuro e prevenire le catastrofi naturali. Il ritiro dei ghiacciai sta interessando anche la Cina, dove le temperature medie sono in costante aumento. Nella provincia dello Xinjiang, gli esperti svizzeri hanno elaborato un sistema di monitoraggio e di allarme.

La cooperazione elvetica si muove anche sul palcoscenico politico internazionale. Contribuisce all’inclusione delle regioni di montagna nell’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e nelle analisi del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. Inoltre, la DSC ha fondato il World Mountain Forum, un convegno per lo scambio di esperienze e strategie per lo sviluppo sostenibile delle aree montane, organizzato ogni due anni.


«I PAESI DI MONTAGNA DEVONO PARLARE CON UNA VOCE SOLA»

Eklabya Sharma è vicedirettore generale del Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna con sede a Kathmandu, in Nepal. In quest’intervista l’esperto richiama l’attenzione sulle molteplici sfide che queste regioni devono affrontare, in particolare a causa dei cambiamenti climatici.

Intervista di Zélie Schaller

Che cosa fa esattamente il Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna?

Tra i compiti principali del Centro rientrano l’acquisizione di conoscenze sui cambiamenti climatici e la loro diffusione per accrescere le capacità delle popolazioni di montagna di reagire di fronte a questi mutamenti. Membri dell’organizzazione sono gli otto Paesi dell’Hindukush himalayano: Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, Cina, India, Myanmar, Nepal e Pakistan. Il Centro favorisce inoltre la collaborazione tra scienziati, politici, comunità di montagna e di pianura. Si impegna per migliorare la resilienza delle comunità montane, l’informazione a livello regionale, la condivisione del sapere, la gestione dei paesaggi transfrontalieri, per esempio dei bacini fluviali o delle nevi eterne, e per favorire una maggiore salvaguardia dell’atmosfera.

Ma come fate a salvaguardare l’atmosfera? Ci può fare degli esempi concreti?

Identifichiamo le fonti di emissioni e le modificazioni atmosferiche mediante stazioni di monitoraggio, osservatori e satelliti. L’obiettivo è di favorire la riduzione dei gas a effetto serra nelle varie regioni, incoraggiando, per esempio, l’impiego di tecnologie più ecologiche per la produzione di mattoni. Lo sviluppo industriale a livello globale ha causato un aumento significativo delle emissioni di anidride carbonica. L’inquinamento atmosferico ha gravi conseguenze sulla salute umana e sugli ecosistemi, anche su quelli montani. La spessa foschia e l’aumento della nebbia invernale mettono a repentaglio i mezzi di sostentamento dei più poveri.

E senza risorse per vivere, la gente abbandonerà le montagne.

È una questione cruciale! Le popolazioni di montagna sono più povere di altre, nonostante dispongano delle principali risorse naturali. Nell’Hindukush himalayano, 240 milioni di persone vivono sulle colline e sulle montagne, mentre sono 1,9 miliardi i residenti nei bacini di dieci grandi fiumi. L’acqua che nasce in montagna irriga le pianure, garantendo la sicurezza alimentare di 3 - 4 miliardi di persone.

Eppure si continua a sottovalutare l’importanza delle montagne, serbatoi d’acqua per miliardi di persone. Perché?

Molte grandi nazioni come la Cina, l’India o il Brasile sono più interessate alle aree urbane in pianura, dove risiede la maggior parte della popolazione. Tuttavia è proprio verso le montagne che andrebbe convogliata l’attenzione di politici e scienziati poiché è qui che si gioca il destino di miliardi di persone a causa dei cambiamenti climatici. L’Accordo di Parigi sul clima punta a contenere l’aumento delle temperature globali al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali, ma il riscaldamento potrebbe raggiungere i 4-5°C. È di primaria importanza migliorare la resilienza dei 915 milioni di abitanti delle montagne, che forniscono acqua e biodiversità a metà della popolazione mondiale.

Come si possono convincere i governi e la comunità internazionale ad investire di più?

Agli eventi internazionali, i Paesi di montagna devono parlare con una voce sola. Per elaborare strategie comuni in favore dello sviluppo sostenibile, il Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna (ICIMOD) promuove lo scambio di informazioni e di esperienze con i suoi omologhi di Africa, Sudamerica ed Europa.

In montagna gli effetti del surriscaldamento climatico sono già visibili. La frequenza e l’intensità degli eventi estremi sono in aumento. Come adattarsi?

L’ICIMOD aiuta le popolazioni a prevenire le catastrofi naturali. Promuove una migliore gestione delle risorse naturali e le buone pratiche in agricoltura. Il Centro contribuisce alla creazione di assicurazioni contro gli eventi della natura e la perdita di bestiame. Sostiene la commercializzazione di prodotti agricoli e artigianali ad alto valore aggiunto, migliorando così le entrate della popolazione.

Tra questi prodotti ci sono, per esempio, le piante officinali, le spezie, il tè, che vengono venduti ai viaggiatori. Il turismo
ha ricadute positive sulle comunità montane?

Il turismo di massa ha un impatto negativo sull’ambiente. Per contro, l’ecoturismo è promettente. Se i visitatori rispettano l’ambiente e la cultura locale, consumano prodotti regionali e pernottano presso gli abitanti, questo settore d’attività avrà un’importanza economica sempre maggiore. Naturalmente la partecipazione della popolazione è di fondamentale importanza.

In caso contrario, la gente se ne andrà. L’esodo dei giovani è preoccupante. Come si può arginare questo fenomeno?

Molti uomini emigrano in cerca di lavoro verso il Medio Oriente, le pianure dell’India, la Corea del Sud o la Malesia. Gli aiuti finanziari dovrebbero essere destinati ai giovani, affinché dispongano dei mezzi economici necessari per sviluppare delle attività che permettano loro di vivere in montagna, ad esempio per occuparsi di cultura, allevamento, turismo o edilizia.

Quando gli uomini emigrano, tutto il lavoro agricolo ricade sulle donne. Cosa si può fare per migliorare il loro destino?

Occorre aiutarle a organizzarsi in cooperative e ad allestire dei sistemi di preallarme che le avvisi in caso di catastrofe naturale. Inoltre devono avere accesso a previsioni meteorologiche attendibili e a informazioni riguardanti i prezzi delle colture. Pratiche semplici ed economiche facilitano anche la raccolta dell’acqua e aumentano la fertilità dei terreni.

L’entità di queste numerose sfide non la scoraggia?

No, rimango ottimista. Sono un uomo di montagna, pieno di speranza e d’energia per un futuro migliore. Sento che ci stiamo muovendo nella giusta direzione, quella dello sviluppo sostenibile. È ciò a cui lavorano gli otto Paesi dell’ ICIMOD. Di recente, per esempio, oltre 300 scienziati e responsabili politici si sono riuniti per confrontarsi sulle sfide dell’Hindukush himalayano nella sua globalità in vista di una cooperazione regionale che promuova la sostenibi lità.

EKLABYA SHARMA è vicedirettore generale del Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna (International Centre for Integrated Mountain Development, ICIMOD) e vanta oltre trent’anni d’esperienza nella gestione sostenibile delle risorse naturali dell’Hindukush himalayano. Eklabya Sharma ha conseguito un dottorato in ecologia presso l’Università Banaras Hindu, in India. Nello Stato dello Sikkim ha fondato un centro regionale del G.B. Pant National Institute of Himalayan Environment and Sustainable Development. È entrato nell’ICIMOD nel 2001, dove ha assunto varie funzioni. È membro dell’Indian National Science Academy e ha ricevuto numerosi premi nazionali ed internazionali, fra cui l’Honorable Mention Paper Award della US Soil and Water Conservation Society nel 1999.

© fda
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I GHIACCIAI, BELLEZZA E PERICOLO

I ghiacciai sono sia testimoni sia vittime del cambiamento climatico. Il loro ritiro mette a repentaglio la sicurezza e l’approvvigionamento idrico di milioni di persone. Gli esperti stanno sviluppando dei metodi per monitorarli e ridurre così i rischi per la popolazione.

I ghiacciai sono fra gli indicatori più attendibili del riscaldamento climatico. Il loro è un ecosistema fragile e complesso che viene scombussolato dal graduale aumento della temperatura terrestre. Un cambiamento molto rapido, di cui siamo testimoni nel corso della nostra vita, decennio dopo decennio: dal fronte glaciale sgorga incessante un torrente impetuoso, le lingue di ghiaccio si ritirano sempre più e il permafrost, lo strato di terreno permanentemente gelato, si scioglie. Davanti alla parte frontale si forma spesso un lago glaciale. La diga è costituita dai detriti morenici, un accumulo molto instabile costituito di frammenti rocciosi, sabbia e argilla. E così capita a volte che sotto la pressione dell’acqua, questo sbarramento ceda improvvisamente, causando un’ondata di piena verso valle. «Queste improvvise masse d’acqua possono spazzare via intere regioni. La liberazione di grandi quantità di detriti, che prima si trovavano sotto la superficie del ghiaccio, e la creazione di laghi glaciali sono un’importante minaccia per le comunità e le infrastrutture», spiega Christian Huggel, professore presso il dipartimento di geografia dell’Università di Zurigo.

Le aree particolarmente toccate sono le Ande, l’Himalaya, l’Asia centrale e il Caucaso. Ma lo scioglimento dei ghiacciai non fa aumentare solo i pericoli, bensì mette a repentaglio anche l’approvvigionamento di acqua dolce, che garantisce la sicurezza alimentare. Cercare di prevedere le conseguenze del ritiro dei ghiacciai è quindi di cruciale importanza. Da oltre un secolo gli scienziati raccolgono dati in tutta Europa. Purtroppo questi sono ancora carenti nei Paesi in via di sviluppo, afferma Martin Hoelzle, professore di geografia fisica presso l’Università di Friburgo. Per colmare questa lacuna, la DSC ha lanciato il progetto «Cryospheric Climate Services for Improved Adaptation».

Alcuni scienziati del dipartimento di geoscienze dell’Università di Friburgo monitorano, per esempio, i ghiacciai in Kirghizistan e Uzbekistan. In questi Paesi il deflusso idrico durante i mesi estivi secchi dipende principalmente dalle vaste zone glaciali delle catene montuose del Tien Shan e del Pamir, osserva Martin Hoelzle. Per definire lo stato di salute dei ghiacciai, i ricercatori misurano le variazioni di massa, ossia calcolano la differenza tra scioglimento e aumento del ghiaccio. Usano anche il rilevamento satellitare, telecamere terrestri o stazioni meteorologiche automatiche.

Prevenire i conflitti

Una volta messi a punto gli strumenti di misurazione, gli scienziati locali vengono istruiti affinché siano in grado di monitorare autonomamente i ghiacciai. «È molto importante raccogliere dati precisi in Asia centrale, dove la distribuzione dell’acqua è una questione politica e fonte permanente di tensioni e perfino di conflitti. Buone previsioni per la regione consentiranno alle comunità locali di prepararsi in anticipo ai cambiamenti futuri e contribuiranno a prevenire tensioni locali, regionali e persino globali tra i vari Paesi», afferma Hoelzle.

La Svizzera condivide le sue competenze anche con il Perù. Una formazione post-laurea in glaciologia è stata istituita nel 2012 presso le Università di Lima, Cuzco e Huaraz con il sostegno degli atenei di Zurigo e Friburgo. L’urgenza di questo tipo di curricolo universitario è emersa chiaramente nell’aprile del 2010, quando un enorme blocco di 300 000 metri quadrati si è staccato dal Monte Hualcan, nelle Ande peruviane, inabissandosi nel lago 513 metri più a valle e causando un’onda anomala alta 25 metri. Questo «tsunami di montagna», come alcuni lo hanno definito, ha distrutto una cinquantina di abitazioni. Il bilancio dell’ondata di piena avrebbe potuto essere molto più pesante, soprattutto se avesse investito le popolazioni più a valle.

Energia idroelettrica, irrigazione, acqua potable

Negli ultimi quarant’anni, i ghiacciai hanno subito un arretramento compreso tra il 33 e il 55 per cento. A breve e medio termine, le acque di fusione faranno aumentare il deflusso dei corsi d’acqua. In Perù, la DSC sostiene progetti intersettoriali e partecipativi per lo sfruttamento ottimale di questo oro blu supplementare nei settori della produzione di energia idroelettrica, dell’agricoltura e dell’acqua potabile. Il Centro di ricerca sull’ambiente alpino ha sviluppato modelli che analizzano lo stato attuale dei bacini idrografici rispetto a domanda d’acqua e fabbisogno di approvvigionamento idrico e consentono così di calcolare le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Carte dei pericoli

Allarmate da questo evento, le autorità peruviane hanno chiesto alla Svizzera di appoggiarle nella messa a punto di un sistema di preallarme per monitorare la lingua del ghiacciaio. L’Università di Zurigo, il Politecnico federale di Losanna, Meteodat – una società con sede presso il Politecnico di Zurigo – e il Centro di ricerca sull’ambiente alpino (CREALP) con sede a Sion vi hanno lavorato con il sostegno della DSC. Dopo aver ricostruito le tappe che hanno portato all’evento del 2010 e aver fatto delle previsioni, gli scienziati, insieme a istituzioni, autorità e comunità locali, hanno allestito diverse stazioni d’osservazione.

Attorno al lago sono stati installati dei sensori di movimento sotterranei, mentre alcune telecamere osservano la superficie del lago. Se un blocco di ghiaccio dovesse staccarsi e cadere nel lago glaciale, le autorità di Carhuaz, una cittadina di 13 000 abitanti situata a valle, verrebbero immediatamente allertate. Per sfollare la popolazione sono stati sviluppati un piano d’azione e una mappa dettagliata con le vie di fuga sicure.

Queste procedure sono servite da modello per il governo peruviano. Progetti analoghi sono stati implementati in altre regioni. Carmen Valenzuela conosce bene la carta dei pericoli. Vive con i genitori nel centro di Huaraz, città situata nel bacino del fiume Santa, a 3000 metri d’altitudine. «Ho visto il livello dell’acqua salire più volte durante la stagione delle piogge. Le precipitazioni sono molto intense e la gente ha paura, soprattutto chi vive accanto al fiume, perché l’acqua trascina con sé massi molto grandi. Il rumore è forte e le case tremano», racconta la studentessa ventunenne. «Alcune persone sono passate di casa in casa e hanno consegnato alla gente una mappa, avvertendola dei pericoli. In passato, la maggior parte degli abitanti ignorava di vivere in una zona pericolosa e non sapeva dove mettersi in salvo».

Con l’aiuto di due cartelloni, questi allievi peruviani studiano il sistema di preallarme e il piano di evacuazione in caso di un’ondata di piena.  © Zack Bennett/Cosude
Con l’aiuto di due cartelloni, questi allievi peruviani studiano il sistema di preallarme e il piano di evacuazione in caso di un’ondata di piena. © Zack Bennett/Cosude

Sorvegliare i ghiacciai

Insieme ai suoi partner di ricerca svizzeri, la DSC rafforza da molti anni le capacità locali di osservare i ghiacciai. Attualmente sostiene progetti in Perù, India, Cina e Asia centrale. In collaborazione con il Centro internazionale per lo sviluppo integrato delle regioni di montagna, sta approfondendo la ricerca nell’ambito del permafrost. Tutti i dati vengono inviati al Servizio di monitoraggio mondiale dei ghiacciai (World Glacier Monitoring Service, WGMS) con sede presso l’Università di Zurigo. «I risultati forniscono un quadro migliore dell’impatto del riscaldamento globale sui ghiacciai e permetteranno di stimare i cambiamenti correlati, come l’innalzamento del livello dei mari, i cicli idrologici regionali e i rischi locali», spiega Martin Hoelzle, professore di geografia fisica presso l’Università di Friburgo.


FORESTE, ALLEATE PREZIOSE E FRAGILI

I boschi contribuiscono a frenare il riscaldamento climatico che li minaccia. Nelle Ande, la DSC promuove l’agroforestazione, il rimboschimento e la protezione degli spazi naturali.

Le regioni di montagna ospitano il 28 per cento delle foreste del mondo. Queste superfici boschive rendono molteplici servizi: regolano gli equilibri climatici, immagazzinano l’anidride carbonica, depurano l’acqua, proteggono dalle inondazioni e riducono il rischio di erosione del suolo. Sono quindi degli ecosistemi straordinari, ma nel contempo estremamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. La deforestazione ha conseguenze dirette sul clima locale e mondiale, sulla biodiversità, sulla disponibilità di risorse idriche e sulla fertilità dei terreni, ovvero elementi essenziali per lo sviluppo umano e la stabilità ambientale.

Molte foreste nelle Ande sono scomparse a causa delle attività agricole, degli allevamenti e degli incendi. I contadini della regione peruviana di Apurímac piantano giovani albererelli per rimboschire i terreni.  © Adolfo Antayhua Chipana/Cosude
© Adolfo Antayhua Chipana/Cosude
Molte foreste nelle Ande sono scomparse a causa delle attività agricole, degli allevamenti e degli incendi. I contadini della regione peruviana di Apurímac piantano giovani albererelli per rimboschire i terreni. © Adolfo Antayhua Chipana/Cosude
© Adolfo Antayhua Chipana/Cosude

L’impegno della DSC

La cooperazione svizzera promuove la gestione sostenibile delle foreste di montagna. Nei Paesi andini – Argentina, Bolivia, Cile, Ecuador, Colombia, Perù e Venezuela – promuove e sostiene la ricerca sull’impatto del riscaldamento globale su questi ecosistemi e favorisce approcci innovativi in favore di una migliore protezione a lungo termine delle risorse boschive. «Con il nostro intervento intendiamo anche aumentare la visibilità delle foreste andine nelle politiche nazionali e internazionali, dato che troppo sovente vengono marginalizzate», sostiene Patrick Sieber del Programma globale Cambiamento climatico e ambiente della DSC.

Considerate le sorelle minori dell’Amazzonia, le foreste andine permettono di mitigare i fenomeni climatici dei Paesi a cavallo della Cordigliera delle Ande. Inoltre sono il serbatoio d’acqua potabile per quaranta milioni di persone, ossia per un quinto della popolazione totale dei sette Stati andini. Sono anche fonte di cibo, materiali da costruzione o combustibile, aree di svago, custodi di tradizioni culturali e spiritualità.

Sull’Altopiano peruviano, nel bacino di Huacrahuacho a Sud-est di Cuzco, la DSC ha realizzato un’attività pilota grazie alla quale sono stati tratti insegnamenti utili per l’intera Cordigliera delle Ande. A 4400 metri d’altitudine, i prati naturali sono in pessimo stato. Le piogge hanno eroso il terreno, impoverendolo e rendendolo quasi improduttivo. Le attività agricole, gli allevamenti di bestiame e gli incendi hanno inoltre danneggiato i boschi. Con l’aiuto della cooperazione svizzera, gli abitanti hanno recintato 34 ettari di pascoli per proteggerli dall’erosione e per favorire il loro rinverdimento. Inoltre hanno piantato un migliaio di alberi di specie autoctone.

Ecosistema unico

Per studiare le dinamiche delle foreste andine, la cooperazione svizzera sta monitorando quattro aree nel Santuario Nacional de Ampay, nel Dipartimento di Apurímac in Perù. Dotata di una biodiversità unica, questa regione protetta consente la conservazione di una specie di conifere locali, le Intimpas, piante che possono crescere fino a 3800 metri di quota. Taluni esemplari hanno quasi 900 anni. «Le attività di ricerca e i controlli periodici sono essenziali per anticipare i cambiamenti futuri dovuti al riscaldamento climatico», spiega Patrick Sieber del Programma globale Cambiamento climatico e ambiente della DSC


LA MONTAGNA E LA FAME

La sicurezza alimentare è molto fragile in montagna, dove le condizioni di produzione sono difficili. Per migliorare la nutrizione e la capacità di reagire alle crisi delle popolazioni montane, la DSC promuove il sapere ancestrale e le conoscenze scientifiche a favore dell’agrobiodiversità.

Grazie agli essicatoi  solari per frutta e verdura, queste contadine krighise del distretto di Ala-Buka dispongono di un’importante riserva di cibo e vitamine. © Marlene Heeb/DSC
© Marlene Heeb/DEZA
Grazie agli essicatoi solari per frutta e verdura, queste contadine krighise del distretto di Ala-Buka dispongono di un’importante riserva di cibo e vitamine. © Marlene Heeb/DSC
© Marlene Heeb/DEZA

La vita dei montanari si basa su un’agricoltura di sussistenza, che deve fare i conti con le difficili caratteristiche topografiche, con la penuria di terreni arabili e i brevi periodi vegetativi a causa del perdurare dei periodi freddi. L’isolamento ostacola inoltre gli scambi commerciali. Quella montana è quindi una popolazione che sa più di altre che cosa significa patire la fame, una condizione che favorisce la povertà, come ricorda l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura FAO. «Oltre a ciò, molte regioni vedono partire i loro giovani, con una conseguente riduzione della forza lavoro disponibile», afferma Marlene Heeb, della divisione Programma globale Sicurezza alimentare della DSC.

Secondo la FAO, il 40 per cento della popolazione montana dei Paesi in via di sviluppo soffre di insicurezza alimentare. La DSC promuove pratiche agricole ecologiche per favorire un’alimentazione sana e per salvaguardare l’ambiente. Inoltre forma degli operatori rurali affinché diffondano tra i contadini pratiche di coltivazione e d’allevamento più redditizie ed ecologiche. «Questi esperti insegnano alle famiglie contadine a impiegare metodi di fertilizzazione sostenibili, come il ricorso al compost, la rotazione delle colture o il ricorso alle colture intercalari», spiega Marlene Heeb.

Fagioli neri ed essiccatoi solari

In Nepal, nel distretto di Jumla, il bracciante Ghanashyam Nagarkoti motiva i contadini a coltivare i fagioli neri, legumi molto nutrienti. Inizialmente erano considerati un cibo dei poveri e quindi in pochi hanno accettato l’invito a seminarli. «Così abbiamo elaborato delle ricette semplici e insegnato agli agricoltori a coltivare questa pianta. Inoltre attraverso la produzione di antiparassitari biologici e metodi di adattamento climatico è stato possibile raddoppiare i raccolti», spiega Nagarkoti. «Le eccedenze vengono vendute al mercato di Nagma e migliorano la sicurezza alimentare dell’intera comunità».

In Kirghizistan, Alisher Yuldashev costruisce essiccatoi solari per frutta e verdura insieme agli abitanti del distretto di Ala-Buka. Ciò permette a questi ultimi di avere una riserva di cibo per tutto l’anno. «Gli esami svolti su un gruppo di donne ci ha permesso di riscontrare significative carenze nutrizionali nel loro regime alimentare, specialmente in inverno, quando frutta e verdura fresche non sono disponibili o lo sono a prezzi esorbitanti. Abbiamo quindi dato risalto al valore nutrizionale della frutta essiccata e al ruolo vitale che può svolgere per un’alimentazione sana ed equilibrata», spiega il giovane kirghiso.

Laboratori sul clima

In Perù si è iniziato a coltivare verdure finora sconosciute, come la barbabietola rossa. «Non sapevo come cucinarla. Ho fatto delle prove. Dato che assomigliava a una patata, l’ho cotta nello stesso modo», racconta la ventiseienne Huarcaya Cleofe. La giovane donna vive a Santa Rosa, nel dipartimento di Apurímac, nel Sud del Paese. Quando le condizioni atmosferiche sono estreme e limitano la coltivazione all’aperto, i contadini impiegano delle serre, in cui possono continuare a produrre frutta e verdura da vendere al mercato o per il proprio consumo.

Nella regione di Puno, nel Sud-est del Perù, sono stati istituiti dei laboratori sul clima, frequentati finora da oltre un centinaio di produttori. Alcuni scienziati istruiscono i partecipanti in meteorologia e agronomia. Al termine della formazione, i contadini sono in grado di lottare contro le specie nocive e le malattie della patata e della quinoa. Per esempio contro il parassita kcona kcona, una farfalla che distrugge le gemme, i fiori e che colpisce la granella sacra agli Incas. La soluzione per combattere questo insetto? La rotazione delle colture, le trappole luminose o ai feromoni, un odore che attira i maschi.

I contadini hanno anche imparato a distinguere i concetti di meteo e clima per prepararsi meglio agli eventi. Ogni giorno, a un’ora fissa, possono ascoltare le previsioni del tempo alla radio. In caso di condizioni estreme, come gelate o grandinate, vengono avvertiti tramite SMS e, a loro volta, inoltrano il messaggio ai vicini e ai colleghi. Questi avvisi consentono di adottare misure preventive. Una ricerca sulla coltivazione di quinoa ha dimostrato che grazie ai preallarmi, i produttori della regione di Puno sono riusciti ad evitare perdite a stagione stimate a 9 milioni di soles, (2,69 milioni di euro) e a migliorare così la sicurezza alimentare per i loro cari e la comunità.

Colibrì e GPS

Anche in Bolivia, gli yapuchiri imparano a leggere i dati meteorologici. Questi agricoltori hanno ereditato conoscenze locali ancestrali, osserva Rodrigo Villavicencio, incaricato di programma presso la DSC in questo Paese. Alcuni bioindicatori li aiutano a pianificare le colture. «Se il kiriki, una specie di colibrì, fa il nido sopra i giunchi, l’anno sarà piovoso. Se lo costruisce sotto, sarà un anno avaro di piogge», spiega il boliviano.

A causa dei cambiamenti climatici queste osservazioni sono però sempre meno affidabili. Così gli yapuchiri si avvalgono di pluviometri, termometri e GPS per migliorare le loro previsioni. «Da allora le perdite sono diminuite del 40 per cento e le rese sono triplicate», si rallegra Rodrigo Villavicencio. Nell’Altopiano boliviano, situato tra 2500 e 4000 metri di altitudine, ogni piccolo miglioramento viene accolto come una benedizione dal cielo. Qui le famiglie contadine vivono sulla soglia di povertà. Con l’aiuto della DSC, gli yapuchiri insegnano loro quali sono i periodi di semina più favorevoli, le piante utili e le varietà resistenti ai capricci del clima. Le loro conoscenze sono sfruttate per produrre fertilizzanti e pesticidi biologici e hanno anche permesso di elaborare una miscela di piante, compost e funghi in grado di proteggere le colture.

Carenze alimentari

Alcuni studi hanno evidenziato che l’alimentazione delle popolazioni montane è povera di oligoelementi. Gli abitanti delle Ande, dell’Himalaya e delle catene montuose della Cina soffrono anche di carenze di iodio. Non v’è da stupirsi, dato che le forti precipitazioni e lo scioglimento delle nevi diminuiscono la quantità di iodio contenuta nel terreno. In queste regioni, si registrano tassi più elevati rispetto alla media di mortalità infantile, danni celebrali e ingrossamenti della ghiandola tiroide, il cosiddetto gozzo. In Himalaya e nelle Ande si riscontrano anche gravi carenze di vitamina A, che possono causare lesioni oculari o l’insorgere dell’emeralopia, una condizione che impedisce di vedere bene di notte. Un altro problema sono i concimi chimici, che hanno ridotto la fertilità dei terreni e danneggiato l’ambiente e la salute umana.


FATTI & CIFRE

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